Città Europea. Alcuni fondamenti e alcune immagini della sua krisis
Abstract
Negli ultimi anni, diversamente da altre aree geografiche, il concetto di ‘crisi urbana’ (come recessione, shrinkage, crisi politica) non è ancora stato formulato chiaramente in Europa. Nell’ambito delle discipline progettuali, scosse dalla crisi climatica e culturale, si usa di frequente il termine ‘crisi’ per applicare soluzioni automatiche. In questa narrazioni “contro” “per” “nella” crisi che supportano le retoriche della trasformazione urbana – della politica, dell’amministrazione, della cultura del piano e del progetto, del linguaggio comune – emergono parole ricorrenti: smartness, vivibilità, integrazione, connessione, stagionalità, relazione.
Si può osservare che, ogni volta che il termine ‘crisi’ viene associato a tali parole, che potrebbero essere ricondotte ad una genealogia ‘femminile’ di pensiero, avviene invece un atto di appropriazione da parte del capitalismo, per “ri-etichettare” modi di estrarre valore dalla città ormai obsoleti e legati ad una cultura patriarcale. Ma il potenziale dei “luoghi” nella città europea può cambiare, se guardato con lo spessore di questo lessico ricondotto al pensiero delle filosofe. E un’attitudine a liberare questo vocabolario potrebbe restituire al termine ‘crisi’ il suo spessore cognitivo.
A partire dall’etimologia di ‘krisis’, rispetto allo spazio e al tempo, si approda ad una riflessione sulla città contemporanea. Mettendo in prospettiva una serie di ‘figure’ dell’agire umano, questo lavoro di ricerca propone di definire una sapienza del divenire urbano capace di confrontarsi con il paradigma del progetto architettonico e urbano nella città europea del XXI secolo: progettare in una città già costruita.
Sintesi
Prologo. Il carattere che è proprio dello stato di crisi – anche in senso etimologico – è la necessità di mettere in campo degli elementi di consapevolezza per potersi rappresentare nel mezzo di due orizzonti temporali entro i quali una trasformazione s’inscrive. Attorno al proliferare della parola ‘crisi’, invece, oggi possiamo leggere l’imputazione della città come capro espiatorio dei danni insanabili al pianeta Terra, che invece andrebbero attribuiti alla forma mentis che nell’epoca del colonialismo ha preso possesso del divenire urbano. Trattando la città come un artificio escluso dalla solidarietà della biosfera, la città intera oggi viene intesa come la scoria di un processo evolutivo sbagliato, che l’essere umano ha compiuto separatamente dal resto del vivente. Occuparsi di questa visione catastrofica è il primo passo per addentrarsi in un’indagine più profonda sulla parola ‘crisi’ e sulla crisi che stiamo attraversando.
Parte prima. La Parte prima ha tre intenti: fornire una breve ricostruzione etimologica ed alcune interpretazioni del termine ‘crisi’; sottolineare come la parola venga usata sovrapponendo ambiti diversi di esperienza (come quello psicologico, politico, economico o energetico); trarre i caratteri della parola ‘crisi’ che la rendono, da un lato, funzionale ad essere strumentalizzata nei discorsi della politica europea contemporanea e, su un altro fronte interpretativo, ad essere alleata con modi di intendere il divenire individuale e il divenire collettivo diversi da quelli fondati sullo sviluppo “lineare”, il progresso, la crescita e la competizione, applicati allo stato-nazione e alla città contemporanea.
Parte seconda. Nella Parte seconda si definiscono i fondamenti della Krisis in relazione all’ambito specifico della città europea. L’operazione viene compiuta all’interno della Teoria urbana, a partire da un una mappa di epiteti della crisi, rappresentata come un reticolo complesso di argomentazioni sulle diverse crisi in atto nel quale lo studioso urbano viene catturato. Ma proprio nella proliferazione di azioni progettuali compiute “in nome della crisi” si può leggere una reazione al dogma dell’identità in senso essenzialista. Il passaggio da una concezione di tipo essenzialista ad una concezione che tiene conto della molteplicità sarebbe quindi in atto ma gli automatismi con cui la ‘crisi’ viene strumentalizzata dalle discipline progettuali impedisce questo cambio di forma mentis. Questo nodo può essere sciolto affrontando l’inconscia repressione insita nell’origine della democrazia, che si fonda su una sottomissione permanente dell’‘alterità’. Il primo ‘altro’ escluso e sottomesso dal patto democratico sono proprio le donne.
Interludio. In questa ricerca viene proposto un approccio di ribaltamento guidato dal lessico e volto a ridefinire il problema dell’emancipazione dell’individuo e della comunità posto alla base della convivenza urbana. La leva per questa inversione di senso rispetto agli automatismi progettuali “in nome della crisi” è la rilettura di alcune parole attraverso una genealogia di pensiero femminile. Tale retaggio culturale non può essere affrontato semplicemente con una declinazione politically correct e nemmeno soltanto con una riflessione sui corpi femminili nello spazio o sull’eteronormatività. È necessario un ribaltamento del meccanismo con cui alcune parole vengono strumentalizzate, attraverso il reclamo del significato delle stesse parole.
Parte terza. Dopo alcune riflessioni sul connotato di “naturalità” che viene oggi attribuito alla città sottolineandone l’imprevedibilità, si approda alla tensione tra crisi e città nel suo nodo più significativo: il modo in cui viene intesa la conoscenza dei luoghi. In una chiave femminile, la prospettiva del ‘micro’ viene proposta non come un problema dimensionale ma come qualcosa che abbia a che fare con l’emancipazione. Attribuire al luogo il carattere di soggetto mediatore è invece il modo con cui viene affrontato il problema della differenza/alterità. La figura mitologica della Ninfa – alternativa femminile al genius loci – aiuta a definire il ‘paradigma della scoperta’, in aiuto ad un’umanità a venire che si percepisca culturalmente nomade ma capace di prendere coscienza dei propri accordi con lo spazio.
Parte quarta. L’ultima parte della ricerca è dedicata alle Specie di spazi selezionati tra quelli che assumono oggi come “urbano” il dato della pre-esistenza della città. Queste figure spaziali si sottraggono dal consueto inventando altri piani di senso, pur appartenendo talvolta agli scenari più frequenti della città contemporanea, sovraccarica di manufatti e significati. Attraverso queste figure – associate metaforicamente a figure mitologiche femminili – emerge un’idea di appropriazione dei luoghi diversa da quella patriarcale-coloniale, basata sul possesso e la sopraffazione.
Appendice. Il testo è corredato da un’ultima riflessione sulla pandemia del 2020, esplosa a sei mesi dalla consegna di questo lavoro di ricerca.
Pubblicazioni
M. Pietropaoli, “Il divenire donna della città: uso, azione, immagine. Riti della narrazione urbana in Europa”, in Symptoms – Of Literature, Vignola P. & Baranzoni S. (eds.), «La Deleuziana» n. 7, pp. 156-172, ISSN 2421-3098
M. Pietropaoli, “Urban Crisis Storytelling: integrating uncertainty into the language and forms of the equilibrium of a city”, in AESOP 2019 Conference Book of papers, IUAV Venezia, pp. 4185-4194, ISBN 978-88-99243-93-7.