Diritto alla terra, due storie.
1. Nel Michigan, la comunità indiana di Bay Mills, Gnoozhekaaning (place of the Pike), guidata da Whitney B. Gravelle che fu espropriata dai suoi antichi territori dai coloni europei (al prezzo attualizzato di 23 centesimi di dollaro ad acro) sta “rinegoziando” con lo Stato del Michigan e anche del Canada come risarcire quella violenza (qui intanto una sua intervista sulle conseguenze intergenerazionali di quel trauma).
Intanto da anni va avanti la tutela e la conservazione del fiume Kalamazoo, uno dei pochi legami naturali rimasti con la terra di quell’insediamento indigeno originario. Il fiume ha subito nel 2010 uno sversamento da una condotta petrolifera e ha rischiato di morire per il forte tasso di inquinamento (qui il link a un sito che spiega le attività in corso).
Negli Stati Uniti c’è una attenzione particolare sul passato e al di là degli eccessi talvolta della cosiddetta “cancel culture” è evidente che in corso un processo socio-culturale che comporta la ridefinizione di ciò che significa oggi la cultura occidentale e di come è ormai necessario andare anche oltre il processo di decolonizzazione.
2. A New York il MOMA dedica una delle mostre temporanee al tema dello Spazio Pubblico e promuove 11 progetti nella città di NY dedicati alla realizzazione di quello che considera lo spazio essenziale per esercitare diritti e difendere la democrazia. Il movimento “Black lives matter” e quello ancora prima di Zuccotti Park, noto come “Occupy Wall Street”, hanno riportato negli Stati Uniti la stagione della protesta nello spazio pubblico, rimasta confinata ancora negli anni Settanta, alle proteste dei giovani americani contro la guerra in Vietnam e al grido di “I have Dream” di Martin Luther King, per i diritti civile della popolazione di colore.
La mostra testimonia il rinnovato interesse negli Stati Uniti per l’importanza dello spazio pubblico come luogo del dissenso e dell’agire la protesta.
Nella mostra (www.moma.org/calendar/exhibitions/5526) ci sono undici esempi diversi di spazio che individuano i possibili significati che questo può assumere, non solo parchi, piazze ma anche interazioni in pubblico (giochi) o interni politicamente significativi, è il caso dell’atrio pubblico nella sede del sindacato delle lavoratrici e dei lavoratori della sanità (United Healthcare Workers East, Midtown Manhattan).
In una società come quella americana, ma potremmo dire seppure con intensità diverse, quella occidentale, anche gli spazi si fanno preziosi, sono ricercati per poter riaffermare i diritti a partire da quello più essenziale e umano, il diritto alla terra.
Potremmo discutere a lungo di come questi spazi “americani” una volta che li si va a guardare testimoniano in realtà di una sorta di donazione “interessata” dal mercato immobiliare, è il caso della sistemazione pedonale lungo la Hunter’s Point South Waterfront Park, Long Island City, Queens, (vedi le foto).
Per questo penso ancora una volta di più che in Italia dovremmo dire grazie a chi nel 1968 con il DiM 1444 ha fatto dell’Italia uno dei Paesi più avanzati dando a ogni italiano residente il diritto alla terra, il diritto ad avere almeno 18 metri quadrati di suolo pubblico di norma da usare per i servizi (scuole, parchi, attrezzature di interesse comune). Una dotazione di suolo che non dipende da nessuna operazione immobiliare e che non fa distinzione di etnia, di livello sociale, di censo.
E pensare che ogni tanto capita pure di leggere che qualcuno propone di cancellare quella norma.
Sugli standard ora e sempre resistenza!
Sono due storie che hanno un filo comune ed è un piccolissimo resoconto di un viaggio negli Stati Uniti per partecipare al convegno internazionale dell’associazione di urbanisti PLPR (Planning, Law, Property Rights) che si è tenuto presso l’Università del Michigan, l’apertura dei lavori è stata dedicata proprio alla comunità indigena degli indiani d’america guidati da Whitney Gravelle di Bay Mills. Grazie ai colleghi del comitato organizzatore locale dell’Università del Michigan per questa scelta.